La solitudine del traduttore - Letterina #04
Solitudini troppo rumorose, stanze troppo affollate + problemi di traduzione, consigli di lettura e FEAT.
Ciao,
è arrivato aprile e con lui la quarta letterina di Tradurama. Dentro ci sono:
· un problema (multiplo) di traduzione,
· un consiglio di lettura esplicito (e qualcuno nascosto tra le righe),
· Tradurama FEAT.
Ma andiamo con ordine.
Come nasce un FEAT.
Far parlare i traduttori di traduzione è sempre stato un mio pallino. E quando dico sempre intendo sempre. Insomma, Il mestiere di riflettere è uscito nell’ormai lontanissimo 2008, tra un po’ compie vent’anni – o li compirebbe, se fosse ancora in catalogo. L’idea di un ciclo di incontri mi frullava in testa da un pezzo, ma un mix di pigrizia, poco tempo e scarsa motivazione mi ha a lungo impedito di passare ai fatti. Finché un giorno, forse perché mi annoiavo – mai sottovalutare la noia, a volte dalla noia possono germogliare cose belle – ho scritto ad alcune amiche. Per darvi un’idea del mood che mi animava, vi dico solo che l’oggetto dell’email era: Una proposta indecente. Spiegando come immaginavo Tradurama FEAT. (che non si chiamava ancora Tradurama FEAT., anzi, non aveva proprio nome), ho detto che volevo coinvolgere solo persone con determinate caratteristiche: a) simpatiche, b) brave, c) che avessero un libro veramente bello uscito da poco, in uscita o in cantiere. Il fatto che Tradurama FEAT. sia poi effettivamente partito dimostra che forse è arrivato il momento di sfatare l’antico mito della solitudine del traduttore.
La solitudine del traduttore
Quando si parla di traduttori, si pensa sempre alle solite cose: alla vita agra, all’invisibilità, e ovviamente a questa fantomatica solitudine. La colpa, diciamolo, è anche un po’ nostra, perché siamo noi a ricicciare di continuo gli stessi cliché. Sorvolando sulla vita agra (la letterina di febbraio parlava di soldi, proprio perché questa vita agra ha un po’ stufato) e sull’invisibilità (siamo qui, ci mettiamo la faccia, parliamo del nostro lavoro praticamente in tutti i luoghi e in tutti i laghi – online e IRL – quindi forse non siamo poi così invisibili), la solitudine del traduttore è, nella migliore delle ipotesi, una solitudine troppo rumorosa. E quella del traduttore, più che una stanza tutta per sé è una stanza piena di gente. E di voci.
Un coro di voci
Quando traduciamo, dobbiamo fare prima di tutto i conti con la voce dell’autore o dell’autrice di turno. Nel pezzo che ha scritto per Il mestiere di riflettere, intitolato “Il gioco del telefono”, Federica Aceto dice:
[...] quando traduciamo, in realtà è come se l’autore diventasse un nostro amico, perché lo incontriamo ogni giorno, ci trascorriamo insieme gran parte del tempo di veglia e a volte non solo. Un amico nel migliore dei casi. Nel peggiore, l’autore è una presenza molesta che ci telefona agli orari meno urbani e ci dice: “Adesso tu mi stai ad ascoltare”. E ci racconta per ore e ore cose sue di cui non ci potrebbe fregare di meno. E poi pretende pure che ripetiamo per filo e per segno ogni parola che ha detto.
Il guaio è che quella dell’autore non è l’unica voce che dobbiamo ascoltare, perché ci sono anche le voci dei personaggi, le voci di altri autori/testi con cui il “nostro” libro dialoga, e ancora: la voce del revisore (magari qui aggiungo un commento per la redazione, spiegando perché, dopo infinite ricerche e ancora più infiniti viaggi mentali, ho deciso di tradurre blind man’s corner con l’angolo del nascondino), la voce dei lettori (si capisce che questa sgrammaticatura è voluta e non una conseguenza del fatto che mi è morta la maestra?), e la voce (o le voci) dentro di noi. Insomma, una roba che Giovanna D’Arco, scansati proprio.
Ci vuole orecchio
È per questo motivo che, secondo me, la traduzione è prima di tutto ascolto, nel senso più ampio del termine. E se è vero che per tradurre bisogna conoscere la lingua di partenza, padroneggiare l’italiano, essere duttili e sviluppare una certa sensibilità letteraria, credo serve anche un’altra cosa, altrettanto fondamentale: per tradurre narrativa, ci vuole orecchio. Argomento che conto di approfondire in una delle prossime letterine.
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Un problema (multiplo) di traduzione
Visto che in questa letterina ho parlato di voci, ho scelto un problema di traduzione che mi sembra piuttosto in tema. Il personaggio in questione, Tin, è un latinista che ha una passione per Marziale e, nel tempo libero, si diletta a tradurne gli Epigrammi, ma – precisa – con un tono “contemporaneo, incisivo, senza manierismi”.
Unlike you, who court our view,
They shun an audience, those whores;
They fuck in secret behind closed doors.
In curtained, sealed chambers;
Even the dirtiest, cheapest ones
Sneak off to ply their trade behind the tombs.
Act more modestly, like them!
Lesbia, you think I’m being mean?
Shag your head off! Only – don’t be seen!
Too much like Mother Goose, the rhyme, the rhythm? Then, perhaps, even more succinctly:
Dunque, cosa abbiamo qui? Una traduzione non ufficiale di Marziale, opera del personaggio (fittizio) di un racconto, che ambisce a essere contemporanea, incisiva e senza manierismi. E poi: un commento sul fatto che le rime sono scontate, le metriche banali, e che sembra una filastrocca per bambini. Ok. Recuperiamo, nell’ordine, l’originale latino di Marziale, una traduzione ufficiale italiana e magari anche una traduzione ufficiale inglese e rimbocchiamoci le maniche.
Perfino le puttane sono più riservate,
non come te, che ostenti le tue scopate;
chiavano certo, ma con discrezione,
in camere isolate, dietro porte sbarrate,
al riparo dagli sguardi, esercitano la professione.
Prendile a esempio, impara la modestia.
Ti sembro meschino, Lesbia?
Ma non ti vieto di trombare,
solo di farti guardare!
Con quelle rime scontate e quelle metriche banali sembra una filastrocca per bambini. Magari un po’ più stringato:
Sì, ci siamo: le rime sono scontate, le metriche banali (e sbilenche). Andiamo avanti. E ora?
Why not emulate the strumpet?
Bump it, pump it, multi-hump it,
Lesbia! Just don’t blow your trumpet!
No, that won’t do: it’s sillier than Martial at his silliest, and with too much detail sacrificed. The tombs in the original deserve to be preserved: there’s much to be said for a graveyard assignation. He’ll have another run at it later.
Ora dobbiamo fare un riassunto stringato (sempre in versi, ovvio) che risulti pure stupido. Forza e coraggio.
Lesbia, fai come le puttane prudenti:
sollazzati pure con i gaudenti,
ma non strombazzarlo ai quattro venti!
No, non funziona: è più stupido degli epigrammi più stupidi di Marziale, e troppi dettagli sono andati perduti. Bisogna preservare le tombe dell’originale: c’è tanto da dire sugli appuntamenti galanti nei cimiteri. Ci riproverà dopo.
Sottotitolo: Un giorno tutto questo rap ti sarà utile (che potrebbe essere il titolo di una letterina a venire).
[Il brano è tratto da Il letto di pietra di Margaret Atwood, tradotto con Federica Aceto per Racconti.]
Un consiglio di lettura esplicito
Forse ho peccato di ottimismo quando ho deciso di inserire in questa newsletter una sezione dedicata ai consigli di lettura. Per me, che ho sempre letto per il puro piacere di leggere, l’idea di dover trovare a tutti i costi dei titoli da consigliare o – peggio ancora – di consigliare dei titoli che magari non mi hanno entusiasmata, giusto per spuntare una casella, è inconcepibile. Perciò facciamo così: se leggo dei libri veramente ma veramente belli, ve li consiglio, diversamente amen – anche perché oggigiorno tutti consigliano libri (tutti consigliano tutto?) quindi non è che ci sia poi questo gran bisogno anche dei miei, di consigli di lettura.
Anche stavolta, però, un libro da consigliarvi ce l’ho. Ed è un libro speciale: il libro più bello che ho letto negli ultimi anni, un libro che conosco praticamente a memoria, e che ho riletto in bozze all’inizio di marzo, ridendo e commuovendomi come la prima volta. E quel libro è – rullo di tamburi – Death Valley di Melissa Broder, the one and only, che esce tra pochissimi giorni (04/04) per NN editore. Alcune delle cose che avevo da dire su questo libro, le ho scritte nella NdT che potete leggere qui; altre verranno rivelate prossimamente.
Tradurama FEAT.
La prossima ospite di Tradurama FEAT. sarà Federica Aceto (traduttrice, tra gli altri, di Ali Smith, Don DeLillo, Martin Amis) che ci racconterà Shy di Max Porter, che ha tradotto in italiano per Sellerio.
Appuntamento live su Zoom, il 10/04 alle 19h. Come sempre, chi non può partecipare alla diretta avrà la possibilità di recuperare l’incontro in streaming. Le iscrizioni chiudono lunedì 07/04.
Per info e iscrizioni (i posti sono limitati, il costo è 5€): feat@tradurama.it
Buone letture e al mese prossimo con una nuova letterina!
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